Pagina:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. II, Fibreno, 1857.djvu/32

   22 libro settimo

la tenue somma annuale di ducati mille e cinquanta. Venendo poi il Monte a decadenza, cedette dopo dodici anni tutte le sue ragioni al duca, il quale pagò agli amministratori di quello la somma dovutagli dalla città di Reggio, e così restò egli creditore di lei. Ma erano però tali gli arretrati, di che il duca rimaneva debitore al Monte, che assorbivano gran parte del credito.

Certo è che la terra di Sambatello e suoi casali prima dell’anno 1638 non era stata mai baronale, ma sempre sotto la giurisdizione del Governatore di Reggio. E questa città ebbe la strana sciagura di dover perdere una parte integrale del suo territorio, di doverla poi riscattare coll’enorme pagamento di ducati cinquantadue mila, e di vedersene in ultimo non solo privata, ma dichiarata debitrice di altri ducali ventinove mila novecento sessantadue verso il regio governo.

Intorno a ciò Reggio non fece che vane querimonie, ma niun richiamo energico, ragionato e perseverante a sperimentare il suo diritto. Imperciocchè i maggiori e più influenti cittadini, tutti accaneggiati a contrastarsi il possesso delle cariche municipali, nulla curavansi de’ comuni interessi della patria loro. Nel 1770 nondimeno, ad esortazione del nobil cittadino Gregorio Palestino i sindaci Fabrizio Sacco, Paolo Orangi, e Domenico Costantino s’indussero a rinfrescar la quistione presso il governo del Vicerè. A qual uopo il medesimo Palestino scrisse una chiara e verace esposizione del fatto; e s’introdusse la causa presso la regia Camera della Sommaria addì ventotto aprile del 1770. La qual Camera fu di avviso che allora Reggio potesse ricuperar Sambatello quando pagasse la somma de’ ducati ventinove mila novecento sessantadue; nè alcuna ragione valse a storcere il governo da tal sentenza. Niente perciò se n’era concluso sino al 1781; ma sopravvenuti poi gli spaventevoli terremoti del 1783, questa pubblica sventura fece che la quistione di Sambatello fosse dimenticala per allora e per sempre.

II. Or narreremo una quistione d’altro genere. Una mattina dell’aprile del 1644 i vecchi sedili del Coro della Cattedrale si trovaron tolti, e cambiati in nuovi, disposti in altra forma. Secondo la forma antica, a destra ed a sinistra erano due tavolati orizzontali e paralleli, alti un solo gradino dal pavimento; sopra ciascuno dei quali correva un pancato, ove dopo le Dignità sedevano alla mescolata e Canonici e Preti, cominciando da su ad aver sedia il Decano in cornu Epistolae, e così gli altri via via. Colla nuova forma i sedili del Capitolo e delle Dignità si posarono in più alto luogo che il solito, e quelli del Clero più a basso, attribuendo a’ Canonici