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   8 libro settimo

delle due parti mancherebbe fosse tenuta per infame: patto che si estese a tutti i creati ed amici reciproci, i quali si obbligarono che in caso di violazione della tregua, non piglierebbero le armi a favor di chicchessia. Ma questa composizione amichevole, foriera di una pace diffinitiva, non andò a genio a Ferrante Barbuto, regio Consigliere, che allora trovavasi con gente armata in altri luoghi della Calabria, ed era accorso a Reggio a comprimere la guerra intestina. Invano l’arcivescovo Annibale d’Afflitto si era sforzato di rappresentare al Barbuto che tutto era finito, e che mercè i suoi buoni uffizii, e la cooperazione del governator Galeoti sarebbe ritornata a’ Reggini la domestica tranquillità. Il Barbuto non gli dava retta, e voleva metter le mani addosso a coloro, su’ quali si aggravava l’imputazione di aver ucciso il Monsolino. Per la qual cosa parecchi dei più compromessi credettero sicuro consiglio di trovarsi un asilo nella Chiesa del Carmine, per campare dalla minacciata persecuzione del regio Consigliere. Ma questi non ebbe ripugnanza di turbare l’inviolabilità della chiesa, e fece che i suoi scherani vi entrassero per forza, e menassero presi quelli che vi si eran ricoverati. Questo abuso di potere mosse il Prelato ad altissimo sdegno e lo spinse a fulminar la scomunica sul Barbuto. Ma il Vicerè veduto il grave stato di Reggio a causa della guerra civile, vi deputò a Commissarii il Governatore e l’Arcivescovo per comporre ad ogni miglior modo i dissidii. Costoro tramezzatisi tra i contendenti riuscirono a piegarli a sentimenti di riconciliazione e di concordia; per effetto di che fu fermata la pace con pubblico trattato. Al quale intervennero per i Monsolini il governator Diego de Plejo, e l’assessore Ottavio Cappelli, e per i Melissari l’Arcivescovo, ed il suo Vicario generale Annibale Logoteta. Così Reggio ritornò tranquilla, furon dimenticate le offese, e condonati scambievolmente i fatti commessi.

V. A Filippo III si presentò nel 1609 in Madrid il sindaco di Reggio Dottor Marcello Laboccetta, ed ottenne la conferma de’ privilegi della città. Attutatesi in Reggio le civili dissensioni, cominciarono a ridestarsi le operose cure de’ traffichi e delle industrie. E lo stesso Laboccetta espose poi al re, ch’era venuto in Napoli (1612) essere nella Calabria ulteriore principale industria la seta, nè durarvi questa in tutto l’anno che tre mesi solamente; ne’ quali vien dato lavoro e pane alla più parte de’ cittadini indigenti: ma terminato quel periodo di tempo, mancare a moltissimi, e’ diceva, il lavoro, e con esso i mezzi di sostentarsi la vita tante oneste e povere famiglie. Supplicava adunque il Laboccetta la Maestà Sua che tanto