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   6 libro settimo

fortezze, Castello e Torrione della Battagliola a levante, forti di Lemos e di San Francesco a ponente. Al forte di Lemos era annessa la fonderia dell’artiglieria. Erano le mura munite all’intorno da diciassette torri, che facevano una fortificazione continua. Delle quali una era tra il Castello, e la porta Crisafi; due (e di queste l’una oblunga e quadrangolare, e l’altra orbiculare) tra la porta Crisafi ed il Torrione; una quarta tra questo Torrione e la porta Mesa; la quinta tra questa porta ed il forte San Francesco. Sette poi erano dalla parte del mare, cioè cinque tra il forte San Francesco e la porla Amalfitana, e due tra questa e la porta della Dogana: delle quali due l’una era più grande e rotonda, l’altra quadrata e più piccola. Altre cinque torri erano dalla parte di mezzodì, cioè tre fra il forte Lemos e la porta di San Filippo, e due tra questa e l’angolo superiore della città, tra mezzodì ed oriente, presso il Castello.

Fuori porta Mesa era notabile la Chiesa di San Paolo, e poco più lungi il convento di San Francesco d’Assisi, e la chiesetta di San Marco. Il distretto di Reggio, che dicevano anche paraggio, era venuto a minimi termini sotto il governo vicereale, ed aveva per confini la fiumana di Valanidi a mezzogiorno, quella di Gallico a settentrione, ad occidente il mare, ad oriente Calanna, Santagata e Motta San Giovanni. Questo territorio conteneva diciassette villaggi, Sasperato, Valanidi, Pavigliana, Cannavò, Nasiti, Tirreti, Trizzini, Perlupo, Arasì, Cerasi, Schindilifà, Podargoni, Sambatello, San Giovanni, Santa Domenica, San Biagio, e Diminniti.

IV. Intanto la vasta e mostruosa monarchia spagnuola, dacchè non fu più retta dal vigoroso braccio di Carlo V, andò dal male nel peggio, ed i moltiplici ed eterogenei elementi, che la componevano cominciarono manifestamente a disgiungersi. Ogni suo stato prese tendenza a segregarsi dal violento incentramento, che aveva fatte Provincie le nazioni. Congiure, insubordinazioni, ribellioni tenevano concitate le menti. Già le Fiandre ed il Portogallo si eran sottratti, alla suggezione spagnuola. Già il Reame di Napoli anelava l’occasione di fare il medesimo; ma quando poi questa venne, non bastò la lena, e mancò il fermo volere e la perseveranza; e tutto ciò per un’impresa inconsiderata. Imperciocchè le sedizioni di Napoli non furono effetto della convinzione universale, ma dell’istigazione (sempre funesta) degli stranieri che mandò a precipizio ogni cosa; e finirono snaturate dagl’impeti senza freno della più infima plebe. La quale screditò co’ suoi eccessi una causa nobilissima, e la fece odiosa agli onesti, che oneste cose desideravano.