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   108 libro ottavo

ad oriente, l’altro ad occidente. Sulla punta e sullo spazio compreso fra i due lati resta edificata la città; sulla punta stessa s’innalzava il castello di solidissima costruzione. Nello stesso dì de’ cinque febbrajo, che tanto fu fatale alla Piana di Calabria, Scilla fu dal medesimo flagello percossa. Quantunque la ruina delle case non fosse quivi così grande come negli altri luoghi della Calabria, fu ciò non ostante di così minaccioso aspetto che i Scilleni spaventali, da’ loro abituri precipitosamente sbalzando, cercarono scampo contro il rovinoso furore della tremante terra o ne’ luoghi aperti o sulle barche, le quali allora nelle vicine acque soggiornavano.

«Una parte del monte Bacì, di costa posto alla sinistra curvatura di Scilla, staccatosi da’ suoi cardini per la forza del tremuoto, precipitando con orribile fragore, nel mare cadde e s’affondò, non senza di aver cacciato avanti a sè violentemente le onde frementi. Immenso accidente fu questo, eppure picciolo a comparazione di quello che ora siamo per raccontare. Nell’ora fatale di sopra accennata, in quella parte di mare che bagna le sponde di Messina, di Reggio, di Scilla, del Cenide e del Faro avvenne un fenomeno stupendo e spaventoso. Il mare primieramente si avvallò nel mezzo, come se una forza potentissima ne avesse percosso il centro, e quindi con rapidissimi vortici nabissandosi respinse per gli opposti lati l’onda inarcata, la quale sugli opposti lidi d’Italia e di Sicilia oltre gli usati termini trascorrendo ed accavallandosi, ogni cosa con una portentosa inondazione disertò ed afflisse. Lascio al lettore il pensare quale aggiramento, quale slogamento, quale rapina, quale distruzione nelle cose inanimate abbia partorito un turbine così improvviso, in luoghi su’ quali mai penetrato il mare aveva, e su di cui per conseguenza non si aspettava. Pietà, spavento ed orrore con estreme ruine afflissero e sconvolsero Scilla non degenere da se medesima.

IV. «Disastri orrendi io racconto, ma non per la prima volta avvenuti in paesi che bugiardi ed insidiosi si potrebbero chiamare, posciachè per la bellezza ed amenità loro allettano a spiagge infide e piene di mortali pericoli: un sole benefico, chiari rivi scendenti da’ poco lontani Apennini, freschezza di siti all’ombra degli aranci, de’ gelsi, de’ limoni, de’ fichi, de’ cedri, de’ granati, e della pampinosissima vite, fanno che quivi sieno i luoghi forse più dilettevoli della terra. Ma sono giardini di Alcina; la natura vi fu ad un tempo madre e madrigna. Chi mi legge forse già si è accorto ch’io della calabrese Reggio favello. Più a questa famosa ed antica città l’uomo si avvicina, e più fra gli agrumi, il fresco e l’ombra viaggiando, si