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capo quarto 27   

come in quel dì medesimo avesse il tiranno sposato ancora Aristomaca figliuola d’Ipparino, nobile siracusano, e sorella del virtuoso Dione. La quale fu menata alle regie stanze con elegante traino di quadrighe, a cui erano appajati bianchi cavalli.

IV. Ma la dimora de’ Cartaginesi in Sicilia, tanto insopportabile a Dionisio perchè vedeva in costoro una permanente minaccia alla sua sicurezza, gli concitò l’animo ad operar con risoluta energia per cacciarneli prima che, raffermatisi, si rendessero via più potenti e formidabili. Ed in ciò venne a maraviglia condisceso ed ajutato non pure da’ Siracusani, ma bensì da’ rimanenti Sicilioti e da’ Siculi, i quali sebbene forte odiassero la violenta dominazione di lui, con tutta lena concorrevano a far la guerra a’ Cartaginesi, i quali non che oppressori, erano crudelissimi. Perilchè avendo Dionisio preparato quanto era mestieri alla guerra, si affrettò di spedir messi a Cartagine, i quali in nome del popolo siciliano le intimassero la guerra, qualora non fossero restituite alla loro prima libertà le città dell’isola da’ Cartaginesi soggiogate. E la guerra fu fatta con egregio valore da Dionisio; e dopo tante sanguinose vicissitudini che fecero incorrere negli ultimi danni le cose di Sicilia, dopo le feroci incursioni del cartaginese Imilcone, che diede tanti trapazzi a Dionisio, e rase Messena, i Cartaginesi furono alla fine sbaragliati compiutamente, e la Sicilia liberata dalla loro barbara oppressione. Allora potette il tiranno comporre le cose a suo modo, e tuttochè i Siracusani, dopo levatisi dall’oppressione straniera, abbiano operato ogni mezzo per torsi ancora dal collo il domestico giogo, ciò non partorì loro frutto alcuno, e Dionisio diventò potentissimo. (Olimp. 96, 1. av. Cr. 396.). Non più impigliato nella guerra forestiera, venne signore quasi assoluto delle più grandi città di Sicilia, e della stessa Messena, la quale distrutta da Imilcone, fu da Dionisio occupata, e munita sotto pretesto di difenderla da’ nemici affricani. Allora rivolse il tiranno tutti i suoi pensieri verso le repubbliche della Magna Grecia per farsele amiche e poi soggette.

I Reggini in questo mezzo esclamavano a Dionisio, che ritenendo egli Messena e fortificandola, minacciasse così da presso la sicurezza della loro repubblica. Nè senza ragione avevano a paventare di lui; perciocchè oltre di avergli negato per moglie una loro concittadina, si erano fatti ricettatori e fautori di quanti o Dionisio aveva banditi, o fuggiti erano dalle sue persecuzioni. Oltre di che a quelli ch’erano scampati dalle ruine di Nasso e di Catana avevano dato ricovero in Mila, ch’era da loro presidiata. Or volendo reprimere il minaccioso contegno del tiranno, i Reggini pigliarono il