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capo quinto 297   

intanto fuggì; ma da parecchi, che traevano alle grida del castellano, fu preso e menato nuovamente al castello. Inteso l’avvenuto, tutti si affollavano chi per curiosità, i più per ira, attorno al picciol soldato, il quale vedendosi a così mal termine, tremante e confuso confessò tutto; ed il dimane fu fatto meritamente strangolare, ed appendere ancor palpitante su’ merli delle mura, col capo in giù, e con in petto uno scritto che a tutti pubblicasse la tentata perfidia ed il seguitone castigo.

La nave turchesca, che stava in aspettazione in non gran distanza dal lido, udito il tumulto che si faceva nel castello, e pensando quel ch’era, se ne dilungò prestamente, e corse difilata a Cicala a narragli l’avvenuto. Il quale vedendo per questo sventato il suo avviso, si decise di volere aver per forza ciò che per frodi non aveva potuto. Fece sbarcar la mattina tutta la sua gente sul territorio di Motta San Giovanni, e dispostala in ordine di combattere, mosse per la via della città. Il governator Diego Ajala allora affidò sollecitamente al capitan d’armi Geronimo Musitano, ch’era uomo di molto coraggio, i migliori soldati della guarnigione, non poca quantità di animosi cittadini e tutta la cavalleria; e gli commise uscisse fuori delle mura, e marciasse tosto contro le schiere turche. Così fece il Musitano, e l’Ajala si rimase alla difesa interna. La pugna ebbe cominciamento nell’alveo della fiumana di Santagata, ed ivi attorno. Grande era la disparità de’ combattenti, perchè essendo i Turchi da tre migliaia, non più che mille erano i Reggini. Nulladimeno i secondi eran pari in resistenza; che venivano incitati non pur dal desiderio di onore, ma dalla necessità della salute loro; nè poco vantaggio traevano i nostri dalla natura del luogo. La terra aspra di sassi e di spine dava impaccio grandissimo alla cavalleria dei nemici; mentre a’ nostri giovavano le macerie, le siepi, gli alberi, ogni muro, ogni casa. Sicchè questi tiravano da luoghi coperti, e dall’incontro le palle e le saette de’ Turchi, lanciate a caso, cadevano continuamente sul suolo senza effetto di sorta. I Reggini, appostati a sei, a otto, ed il più più a dieci, dietro i detti ripari, traevano a colpo sicuro. Quindi i Turchi andavano stramazzando qua e là alla spicciolata; ma non si perdevano d’animo per questo; chè anzi a maggior furore concitati dalla strage de’ loro, si stringevano rabbiosamente su quegli aguati, e davano addosso a’ Reggini. Dei quali parte finalmente, più avanti sostener non potendo la ognor crescente moltitudine turchesca, si dettero alla fuga; e parte (ch’erano i più avidi di gloria, e perciò temerari) nulla curando di lor vita, intendevan solo a doppiarne la strage. E di grande aiuto lor furono