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capo quarto 287   

bari, che vedevano radersi l’uno appresso dell’altro sotto colpi invisibili, cominciarono a sbigottirsi, e credendosi fulminati da un nemico soprannaturale, retrocessero a Reggio.

Il giorno dopo nondimeno ritornarono al Convento in assai maggior numero, e col fermo proposito di mandarlo ad incendio e rovina. Ma i frati, e tutti que’ cittadini ch’eran con loro, prevedendo i nuovi insulti, si erano apparecchiati a disperata difesa, risoluti di vincere, o di andare a morte gloriosa. Stettero i monaci orando nel coro tutta la notte, ed implorando il divino ajuto della Santa Vergine loro avvocata. E quanta potenza abbia ne’ gentili animi la difesa del patrio ostello e della patria religione, ben il mostrarono quei valorosi claustrali, e quei cittadini che in lor compagnia combattevano. Perocchè assaliti gagliardamente da’ Turchi, gagliardamente risposero, ed il meraviglioso coraggio di pochi Cristiani fu muraglia inespugnabile contro l’impetuosa furia de’ nemici. A tutti soprastava, a tutti dava animo, con in mano il Crocifisso, il Guardiano Gabriele Castrisciano; il quale esposto alle nemiche percosse, rimase miracolosamente illeso. Lui seguivano e secondavano gli altri frati, tra i quali si segnalarono per maschia intrepidezza Grisostomo Melaya, Gregorio Foti, Filippo Crasti, Leonardo Citrino, Graziano Capelluto, e Timoteo Aromatisi.

Pure un sol timore angosciava l’animo di quei valorosi, ed era che potessero esser tramezzati dai Turchi, e trucidati senza riparo. Ma que’ furibondi, poco pratici di que’ luoghi scoscesi ed imboscati, si allargarono sulle colline a sinistra, e così più si esposero a’ colpi de’ difensori del chiostro. Onde avvedutisi che correvano al peggio, si risolvettero di farla finita, e ristrettisi allo spianato della chiesa, cacciaronsi a darle l’assalto, ed a fracassarne la porta colle loro scimitarre, che luccicavano di luce infernale. Ma allora i difensori, abbandonati i loro posti, si scompartirono in due schiere, l’una delle quali si aggruppò nella chiesa per difenderla sin all’ultimo, nel caso che riuscisse a’ Turchi di abbatter la porta: l’altra schiera si distribuì su per le finestre delle celle, e cominciò a tempestare i Turchi con sì stretta fucilata, che quanti traeva colpi, tanti Turchi freddava. Sicchè ì nemici, come presi di subito terrore, indietreggiarono, e si dettero a precipitosa fuga; nè si tennero nella desolata città, ma addì otto di settembre si ricondussero sulle loro galee, e senz’altro indugio partirono.

A’ tredici di novembre le monache, ch’eran fuggite in Messina, tornarono in Reggio, e furon chiuse nel novello edifizio del Monastero di Santa Maria della Vittoria.