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capo quarto 237   

vanni d’Angiò gli ebbe ordinato da Marsiglia che il consegnasse ad Alfonso. Ed avuto da questi un salvocondotto, se ne passò in Sicilia, e di là navigò per la Provenza a raggiungere il suo principe. Per la disfatta e partenza dell’angioino, tutto il regno si raggiustò quietamente sotto la signoria di Ferdinando; il quale da quel momento non ebbe altro pensiero che di abbattere, mediante le perfidie ed i tradimenti, la potenza de’ baroni, e di confiscarne i dominii e le ricchezze. Quanto fu severo a punir le città che si eran contro di lui sollevate per seguir l’avversario, tanto si mostrò benevolo e munificente verso di quelle che gli erano rimase fedeli.

E forse niuna tra le città del Regno aveva patite tante avversità e tante percosse, per serbar fede a Ferdinando, quante Reggio in Calabria. Questa città, che durante la vita di Alfonso era divenuta la più oscura, povera e derelitta del Ducato di Calabria, risorse dalle sue ceneri sotto il regno di Ferdinando, e cominciò a metter nuova vita e vigore. Gratissimo costui all’inconcussa fede de’ Reggini, provvide che la lor città, famosa, insigne, e delle più principali di Calabria, tornasse all’antico lustro, per quanto veniva consentito dalla mutata condizione dei tempi. Conobbe di quanto momento sarebbe che Reggio, per sito importantissima, fosse ritenuta e conservata tenacemente nel regio demanio. E con real diploma del dieci maggio del 1465 tornò a dichiararla solennemente di appartenenza demaniale con tutto il suo territorio a perpetuità, come era in antico. E volle che essa città, degna, insigne, antica, con tutte le sue gabelle, rendite, pertinenze, e diritti non potesse mai, nè dovesse in tutto o in parte segregarsi, vendersi, distrarsi, o alienarsi, in qual che siasi modo o titolo, dal regio demanio e dalla corona; anche se ciò fosse in prò dello Stato, o per ragion di dotazioni e maritaggi della real casa.

Volle oltre a questo che Motta Rossa e Motta Anomeri fossero consegnate effettivamente in mano dei Reggini, affinchè in pena della reiterata ribellione, potessero a lor piacere atterrarle con tutte le torri e gli edifizii, spopolarle, bruciarle, e condurre in Reggio la gente. Ed ordinò a’ castellani e capitanii di tali Motte, che in vista di tal privilegio, ed alla semplice requisizione de’ sindaci reggini, facessero libera, reale e spedita consegna di esse all’Università, senza bisogno di altro regio mandato. Ed i Reggini, come tosto ebbero in lor balìa quelle due Motte, dando sfogo all’antico desiderio di vendetta, trasportarono in Reggio tutti gli abitanti di quelle, e le munizioni ed altro che vi trovarono; e poi demolitene le torri e le case vi ficcarono il fuoco.