Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
162 | libro quarto |
del padre si affrettò di venir in Italia, e prender la Corona dei Regno di Sicilia e di Puglia; ma giunto in Lavello improvvisamente morì, non senza forte sospetto di essere stato avvelenato. Lasciava erede del trono Corradino, tenero figliuoletto di due anni.
VII. Alla morte di Corrado aveva cercato prender l’amministrazione del regno il marchese Bertoldo d’Honebruch; ma quando seppe che papa Innocenzio, a cui era venuto appetito di torre la monarchia siciliana alla casa sveva, istigava i baroni regnicoli ad innalzar la bandiera della Chiesa, non gli bastando la vista di sostener tanto pondo di guerra, compose con tutti gli altri baroni e partigiani di affidare a Manfredi la somma del governo. E questi, non ostante che ciò bramasse ardentemente, fece da prima sembianti di non volerlo accettare, ma finalmente vi si lasciò persuadere. La sua amministrazione però non fu che una lotta continua contro il romano pontefice che voleva a tutto potere torre lo Stato agli Svevi.
Viveva a que’ tempi (1254) Pietro Ruffo conte di Catanzaro, il quale, essendo familiare di Federigo, in breve tempo era salito a’ più alti uffizii della Corte; e lo stesso Imperatore lo aveva assunto a Vicerè di Sicilia e di Calabria, subordinato bensì a Manfredi, general Balio del Reame. E seguitando di governar quell’isola dopo la morte di Federigo, non gli dava più il cuore di deporne il comando, e cominciava a tener poco a cura gli ordini di Manfredi. Ed allorchè papa Innocenzio, entrato nel regno contro Manfredi, esortò il conte Pietro di alzar le bandiere pontificie, e dichiararsene suddito, questi non volle per cosa del mondo conformarsi a quanto chiedeva il papa. E parimenti, quando Manfredi insignoritosi di Lucera ricercò il Ruffo di ajuto e consiglio per difendere contro le armi pontificie gli Stati del picciolo Corradino, il Conte, come se trattasse da pari a pari, ad altro non assentì che ad allearsi collo Svevo. E mentre Manfredi, cacciato in rotta il Legato pontificio, era penetrato nella Puglia, il Ruffo senza chiedergliene licenza fece batter moneta in Messina col nome di re Corrado II. Ma questa cupidigia del Ruffo di usurparsi lo Stato fece montare in tal furia i Siciliani, che vennero ad aperta sollevazione, e prime a far rumore e correr all’armi furono Patti e Palermo. Finalmente i Messinesi si levarono in armi, e con tal impeto ed energia si scagliarono al palagio del Conte, il quale soggiornava nella lor città, ch’egli dovette obbligarsi di consegnar loro oltre il castello di Messina, anche i due castelli di Reggio e di Calanna in Calabria, da lui posseduti. A lui fu lasciata libertà di uscir di Messina co’ suoi famigliari, e ritirarsi in Calabria. Ma come prima ebbe voltate le reni, e passato lo stretto, i Messi-