Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capo primo | 159 |
quando col mancar della signoria de’ Bizantini venne ancor meno la loro favella, massime nelle regioni litorane. Imperciocchè ne’ luoghi mediterranei della Calabria, che restavano lunga pezza fuori dell’influenza normanna, continuò a durar tenacissima non pur la greca lingua, ma e molte costumanze civili e religiose. Nè rimase negletta la greca letteratura; che anzi questa era coltivatissima; e dopo i Bizantini, non cessarono nè i Normanni, nè gli Svevi, nè gli Angioini di tenerla in gran prezzo e favore, e d’incoraggirne lo studio. Per tale che non solo i nomi de’ magistrati e di altri pubblici uffizii, come Logoteta, Strategò, Sindaco, Gaito e simili, continuarono ad esser quali erano sotto i Bizantini; ma la stessa lingua aveva ancora molta forza nel volgo, e nella Corte. Ed in greco fu scritto sotto gli Svevi il Codice delle Costituzioni della Monarchia. E ne’ nostri pubblici Archivii dura tuttavia una gran copia di scritture, rogate in greca lingua da’ pubblici attuarii e notai.
Il rozzo latino volgare, che aveva anche corso nelle civili conversazioni, non divenne lingua scritta se non dopo di aver deposto la più parte delle frasi primitive, delle finali consonanti, e delle inflessioni del pretto latino, il che non avvenne in Italia prima del secolo tredicesimo. E più che ogni altro al volgare italico aveva attenenza il latino romanzo, che si parlava nella Sicilia di qua e di là dal Faro, ov’è certo questo volgare essersi scritto prima che in altro luogo d’Italia. Le usuali desinenze in u delle voci siciliane e calabresi ne’ participii passivi e ne’ sustantivi ed addiettivi pur ci additano quelle latine in us, ur, um; le quali con perder solo le lettere s, r, m presero veste italiana. Sicchè i primi volgari poeti toscani, alla guisa de’ siciliani, cominciarono a finire in vocali le parole, loro sottraendo le consonanti finali. Che il primo uso poi della rima volgare l’abbiano fatto i Siciliani ed i Calabresi, ad imitazione de’ Bizantini che vi dominavano, è cosa così manifesta, che non vale indugiarsi a confutare la contraria sentenza di taluni scrittori, che per malnata boria municipale fanno cosa propria l’altrui. A quanto splendore poi, gentilezza ed eleganza sia venuta questa lingua e poesia volgare ne’ tempi di Federigo Re di Puglia e di Sicilia, è cosa conosciutissima nella letteratura italiana. Questo stesso monarca compose gentilissime rime volgari; ed altri chiari rimatori e poeti tra tanti di quell’età, furono Enzo figliuolo di Federigo, Pier delle Vigne, Guido Colonna da Messina, Rinaldo da Aquino, Giacomo dell’Uva da Napoli, Folco da Reggio, Guglielmo da Otranto, Guzolo da Taranto, Iacopo da Lentini, Nina, Stefano da Messina, Mazzeo Ricca da Reggio, Odo Colonna da Messina, Ranieri, Ruggiero, ed