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158 | libro quarto |
in Sicilia, dove prendendo cura dell’interna amministrazione, riordinò ogni cosa con nuove leggi, e provvide a rilevar lo Stato da’ guasti sofferti.
III. Sotto il suo governo ebbe glorioso principio la nuova lingua volgare d’Italia, e le prime rime italiane son tutte di poeti siciliani. Perilchè non mi sembra in tutto fuor di materia dire sotto brevità le prime origini della nostra favella, nata senza punto di dubbio dalla corruzione della lingua latina. Della quale la prima alterazione avvenne da Augusto in qua, quando gl’Imperatori, intesi a distruggere non la sola repubblica, ma il nome stesso di cittadino romano, sprecavano i diritti di questa cittadinanza a qualunque più barbaro vassallo dell’Impero. Mentre dall’altro lato tante nuove arti, tante nuove e varie fogge di lusso, tanti nuovi costumi indussero nuovi vocaboli e modi di dire, e guastarono il candore del nativo linguaggio.
Partito in due il romano Impero, gran numero di Romani si traslocarono in Costantinopoli, e divennero Greci; intanto che i popoli settentrionali, brulicando da ogni banda a diluvio, calavano tumultuariamente dalle Alpi, e sbranavano le slogate membra dell’Impero Occidentale. I Goti, che opprimevano l’Italia per tutti i versi, volevano parer Romani, ma era tempo gittato. Vandali, Unni, Longobardi, Greci, Saracini, Franchi, Alemanni, e tante altre maledizioni di gente non nostra, non lasciarono angolo alla povera Italia che contaminato non fosse. Tutto era scompiglio, sovvertimento, rinfusione. Arti sino a quel tempo ignorate, stranissime usanze, e favelle diverse ed orribili, scossero radicalmente l’Impero, e ne sconvolsero il viver civile, e domestico e pubblico In mezzo a tanta rimescolanza di cose non poteva al certo serbarsi incontaminata ed intatta la nobile e maestosa favella della Repubblica Romana. Dal latino volgare, balbettato e smozzicato dall’aspra e gutturale pronunzia de’ Barbari, ed affogato ne’ gerghi delle loro varie favelle, emerse una lingua mista, che per esser la nuova lingua parlata dai Romani fu detta romanza. Questo fu il linguaggio che nelle provincie già romane cominciò ad usarsi dal settimo secolo in qua, e che a poco a poco si mise dentro alle scritture, come si parrà a chiunque scorra da Cassiodoro agli autori sussecutivi sino a’ cronisti del secolo undecimo. Ed il dettato latino presso gli scrittori stessi del decimo secolo altro non era che la lingua romanza, dalla quale pigliarono origine e forma il provenzale, il catalano, e l’italico.
IV. E questa lingua romanza cominciò di buon’ora ad aver prevalenza nelle due Sicilie, ulteriore e citeriore, sotto i Normanni,