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prefazione vii

altresì supponeva che fosse d’altro autore; o almeno inclinava a proclamare collaboratori di Bruno, Sidney, Greville e i loro amici; ma egli era tratto a tal congettura da un motivo diverso; egli teneva lo Spaccio per «un vero capolavoro di spirito e d’immaginazione.» Pochissimi critici ebbero la calma di Chaufepiè che non ne strabiliava come Tolland, nè trepidavane come Lacroze: «Questo libro, non è, al parer suo, così formidabile, come Tolland si figurava, imperocchè non vi sono che scherzi, e non ragioni ed argomenti, che possano persuadere le persone di buon senso. È far troppo onore agli scritti dei nemici della religione il pensare che possano portar tanto pericolo; è supporre che contengano obbiezioni importanti e senza replica; laddove che mettendoli in chiara luce, si fanno conoscere per quel che sono, per una vera debolezza.»

Allora tuttavia che non si sapeva nulla di ben preciso dell’argomento di questo libro si perfidiava a credere ch’avesse procurato a Bruno il supplizio del fuoco. Fondamento di tal credenza era il titolo, che s’interpretava senza riferirlo alla contenenza. E poi Scioppio non aveva affermato che la Bestia trionfante non era altro che il papa? Un giudizio sì grave ed autorevole poteva errare? Di che; «Spaccio della bestia trionfante» val quanto «sovversione del papato» così si ragionava gratuitamente. Alcuni conchiudevano per analogia: «a Wirtemberg, a Helmstaedt, Bruno aveva comparato il