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44 | de la bestia trionfante |
fatto dovenir triste; per ciò che inescusabilmente ognuno ti giudica — ben che io solo ardisca di dirlo — vinto ed oppresso da l’atrabile, perchè in questa occorrenza, che non siamo convenuti, provisti a far consiglio, in questa occasione che siamo uniti per la festa, in questo tempo dopo pranzo, e con queste circostanze d’aver ben mangiato e meglio bevuto, volete trattar di cose tanto seriose, quanto mi par intendere, e alcunamente posso annasare col discorso.» Ora, perchè non è consuetudine, nè pur molto lecito a gli altri dei di disputar con Momo, Giove, avendolo con un mezzo ed alquanto dispettoso riso rimirato, senza punto rispondergli, monta su l’alta cattedra. Siede, rimira in cerchio la corona de l’assistente gran senato. Da quel sguardo convien ch’a tutti venisse a palpitar il cuore, e per scossa di maraviglia, e per punta di timore, e per empito di riverenza e di rispetto, che suscita nei petti mortali ed immortali la maestade, quando si presenta. A presso, avendo alquanto bassate le palpebre, e poco dopo allungate le pupille in alto, e sgombrato un focoso suspiro dal petto, proruppe in questa sentenza:
«Non aspettate, o dei, che, secondo la mia consuetudine, v’abbia ad intonar ne l’orecchio con uno artificioso proemio, con un terso filo di narrazione, e con un dilettevole agglomerato epilogale! Non sperate ornata tessitura di parole, ripolita, infilacciala di sentenze, ricco apparato di eleganti propositi, suntuosa pompa di elaborati discorsi, e, secondo l’instituto di oratori, concetti posti tre volte a la lima, prima ch’una volta a la lingua.
Non hoc, non hoc ista sibi tempus spectacula poscit.