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Per belle man di Naiadi gentili
Di copia di fronde, fiori e frutti
Colmo il smaltato corno d’Acheloo,

avendo ordinato il ballo, se gli fece inante con quella grazia che consolerebbe ed invaghirebbe il torbido Caronte, e, come è il dovere de l’ordine, andò a porgere la prima mano a Giove; il quale in loco di quel ch’era uso di fare, dico, di abbracciarla col sinistro braccio, e stringer petto a petto, e con le due prime dita de la destra premendole il labro inferiore, accostar bocca a bocca, denti a denti, lingua a lingua — carezze più lascive, che possano convenire a un padre inverso de la figlia! — e con questo sorgere al ballo, ieri impuntandole la destra al petto, e ritenendola a dietro, come dicesse: Noli me tangere, con un compassionevole aspetto, ed una faccia piena di devozione: ah Venere, Venere, le disse, è possibile, che pur una volta al fine non consideri lo stato nostro, e specialmente il tuo? Pensi pur, che sia vero quello che gli uomini s’imaginano di noi, che, chi è vecchio, è sempre vecchio, chi è giovane, è sempre giovane, chi è putto, è sempre putto, così perseverando eterno, come quando da la terra siamo stati assunti al cielo; e così, come la pittura e il ritratto nostro si contempla sempre medesimo, talmente qua non si vada cangiando o ricangiando la vital nostra complessione? Oggi per la festa mi si rinova la memoria di quella disposizione, ne la quale io mi ritrovavo, quando fulminai e debellai que’ fieri giganti, che ardiro di ponere sopra Pelia Ossa, e sopra Ossa Olimpo: quando io il feroce Briareo, a cui la madre Terra avea donate cento braccia e cento mani, a ciò potesse con l’empito di cento versati