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I.


Una porta è, senza serrame.1 Dopo la porta un grande spazio dove l’aria è tinta e il lume è fioco.2 Quello spazio, che digrada, ha per limite una riviera: un fiume grande, da parer palude, con acqua limacciosa e opaca. Una nave s’appressa per lo stagno livido. Fiammeggiano da essa, come uniche scintille in tutta questa opacità d’acqua e d’aria, due occhi di bragia. Sono d’un nocchiero vecchissimo.3

A ogni momento nella ripa s’affolta gente. Il nocchiero appressa la barca, gridando parole d’eterna sanzione. Nella gente, cioè tra le anime, sorge uno strepito di denti e di bestemmie e di pianto. E s’avanzano in quel barlume verso la riviera e verso i due occhi di fuoco. Formano quasi un grappolo, un ramo, un albero. Da esso si staccano a una a una le anime, foglie che appena si tengano al ramo per il picciuolo mortificato, cui assalgano i primi venti freddi dell’autunno.

Guardando verso la palude, si scorge però che non si staccano da sè, ma via via per cenni del de-

  1. Inf. VIII 125 seg.
  2. Inf. III 29 e 75.
  3. Inf. III passim.