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468 | sotto il velame |
gilio, dopo aver fatta salire al Giacobbe novello la grande scala, dice:1 “Tratto t’ho qui con ingegno e con arte„; e Dante, dopo aver raccontato dell’Eunoè, si rivolge al lettore dicendo, che non lo “lascia più ir lo fren dell’arte„. In vero se Virgilio è lo studio, rispetto a Dante, è in sè e ha in sè l’arte; e se Matelda è l’arte, come ha purificato così ha ammaestrato Dante. E ne dicono il proprio nome sin gli uccelli della foresta, che la donna sola soli ascolta; che operano ogni lor arte.
Io non mi pento d’aver fatto sì che quelli i quali giustamente proclamano l’attenzione e la cura e l’acume essere necessari a intendere gli scrittori, chiamassero sottigliezza e sofisticheria la mia attenzione e la mia cura e il mio acume e la mia lunga pazienza e lo studio e l’amore. A me non incresce che da quelli i quali asseverano giustamente che lo studio di uno scrittore non si può nè deve scompagnare dall’esame delle sue probabili fonti e dall’indagine de’ pensamenti probabilmente suoi e della sua educazione e cultura, sia stato l’esame che io ho fatto delle dottrine di Dante in confronto di quelle dei teologi, affermato un capriccio, un ghiribizzo, un fuorviare e un vaneggiare. Non me ne pento e non me ne incresce. Facciano pure i critici e i dotti un’eccezione per me, giudicando solo per me falso il metodo ed errata la disciplina che per tutti gli altri è diritto ed è corretta. Dicano ciò che vogliano. Dicano gli orbi che sono oscuro. Dicano i sordi che io parlo sottile. Io amo e lodo e benedico questa sottigliezza e questa
- ↑ Purg. XXVII 130, XXXIII 141, poi XXVIII 15, dove è notevole e intenzionale e significativa la frase: operar l’arte.