“Sono due, perchè due vite a noi sono dimostrate nel corpo del Cristo, una temporale del lavoro; l’altra eterna, della contemplazione. L’una il Signore rappresentò con la passione, l’altra con la risurrezione.1 I nomi stessi di quelle donne ce ne fanno fede. Lia vuol dire laborans, Rachele visum principium, ossia il Verbo dal quale si vede il principio. L’azione della vita umana e mortale, nella quale viviamo ex fide, facendo molte laboriose opere incerti come siano per riuscire a prò di coloro cui vogliamo provvedere, è Lia prima moglie di Giacobbe; e perciò si narra che fosse d’occhi infermi, chè i pensieri dei mortali sono timidi e incerte le loro provvidenze.2 La speranza invece dell’eterna contemplazione di Dio, speranza che ha certa e dilettevole intelligenza di verità, è Rachele: ond’ella è ancor detta di buon viso e di bella figura. Ogni piamente studioso ama costei, e per lei serve alla Grazia di Dio, dalla quale i nostri peccati, anche se fossero come il fenicio, sono fatti bianchi come neve. Chè
- ↑ Dante si configurò al Cristo (Summa 3a 49, 3). La sua passione si distingue, come la vita umana di Dio, in azione e passione. La sua azione consistè in ciò che il medesimo autore di Dante, nella stessa opera, nello stesso libro (cap. 28) dice: «L’azione dell’uomo che serve alla fede la qual serve a Dio, raffrena tutte le mortali dilettazioni e le costringe al lor modo naturale...» Dante risorge risalendo per i peli di Lucifero e poi mettendosi nella burella; ma riesce al piè del monte. La libertà l’ha soltanto alla cima di esso monte.
- ↑ Sap. 9, 14. E perciò Lia che si mira allo specchio, e Matelda che ha occhi così fulgidi, figurano che i pensieri del mortale non sono più timidi e le provvidenze sue non sono più incerte. Invero Dante è libero, e può far quel che vuole, chè quel che vorrà, sarà bene e non male più.