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408 sotto il velame

mente sonare ciò che Dante disse a colui che forte springava. E infine... oh! forse si legge la parola pietà e la parola misericordia in quell’alto e pur mesto scongiuro alla “crudeltà„ che serrava il Poeta fuor dell’ovile. Scongiuro sublime! Vi è dentro la coscienza della sua grandezza. Egli nomina “il poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra„. Ma vi trema un’altra voce d’accoramento umile. Quale straziante imagine è della pecora a cui è chiuso l’ovile, e che bela di fuori, nella notte! Onorate l’altissimo poeta! sembra dire. E sembra aggiungere: Pietà! vorrei morire nel mio dolce nido: apritemi le porte! lasciatemi vedere il fonte del mio battesimo, prima che io entri nella tomba!

Resta il nono cerchio. Vi si discorre del “maledetto superbire„ di Lucifero.1 Vi si vedono gli angeli rimasti fedeli. Essi furono umili, come quello fu superbo. Essi non volser viso dalla faccia di Dio, come quello alzò le ciglia contro lui.2 Qui si è beati della beatitudine, che esso non volle, e si gode la visione del Signore, che esso non temè.

E concludendo questi non più che cenni di maggior trattato, dico che il paradiso, dopo le due spere inferiori, che sono come il vestibolo e in cui pur si trovano i doni della sapienza e della scienza, ha, oltre la ragione astrologica, chiara a intendersi, e altro che ora ometto, questo modo: che i beati si mostrano nelle spere dove è il premio annunziato nel purgatorio, e questo premio è ottenuto con la virtù indicata colà e mercè il dono dello spirito colà sottinteso. I quali doni sono raffigurati soltanto nella

  1. Par. XXIX 55 segg.
  2. ib. 77. Inf. XXXIV 35.