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l'altro viaggio | 403 |
E come nel ciel del Sole è fame, sete è nel ciel di Marte. Si direbbe che è data, codesta sete, “dall’affocato riso della stella„, che era “più roggio che l’usato„.1 Cacciaguida invero afferma:2
il sacro amore, in che io veglio
con perpetua vista, e che m’asseta
di dolce desiar...
E Dio invero fu solo che li “allumò ed arse col caldo e con la luce„.3 E Dante solve un digiuno, che può essere di bevanda, e sazio vuol essere d’un nome, come si può essere di acqua.4 E Beatrice vuole che Dante5
s’ausi
a dir la sete, sì che l’uom gli mesca;
e Dante gusta un discorso, in cui è temprato “col dolce l’acerbo„, e ne prepara un altro che a molti può sapere “di forte agrume„. 6 L’eco del sitiunt è così distinta nella spera di Marte, come dell’esuriendo in quella del Sole. E l’oggetto sì di quella sete e sì di quella fame, oggetto che è la giustizia, si vede chiaro nell’una e nell’altra spera; chè là si parla di tali che fuggono o coartano la scrittura7 e di genti, che per dar retta a quelli, sono troppo sicure nel giudicare. Si legga:8
Non sien le genti ancor troppo sicure
al giudicar, sì come quei che stima
le biade in campo pria che sien mature: