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dano e riottengono “duro e rifermato„ quel tallo, hanno poi la dolcezza, non più della caduca ma dell’eterna felicità. E quanto è probabile che quei candelabri che di lungi sembrano “arbori d’oro„, siano di queste biade che germogliano!

Si dirà: Le beatitudini equivalgono alle virtù opposte al vizio per il quale sono pronunziate. Sta bene. Un noto passo di S. Bonaventura c’insegna quali sono queste virtù.[1] Benissimo. Eppure, se intendiamo che la povertà in ispirito sia umiltà e la misericordia sia carità e la placidezza sia lenità e la mundizia di cuore sia verginità o castità; intendiamo meno come la sete di giustizia sia povertà e la fame di giustizia sia sobrietà, e meno ancora, come il pianto, beatificato nella cornice dell’accidia, sia sollecitudine. Contro la tristizia a cui si riduce l’accidia, raccomandato il pianto? Dovete essere giocondi, nell’aer dolce e nel sole: si dice nell’inferno; e si dice nel purgatorio il medesimo con l’esempio della femmina balba: e poi qui si proclamerebbe: Beati qui lugent? Non si intende. S’intende invece perfettamente, quando nei fatti di Maria si vedano adombrati i sette doni dello Spirito: di Maria, la quale dal suo fedel Bernardo è detta aver penetrato “il più profondo abisso della sapienza divina„ e aver conculcato “l’insipienza„, “lo stolto, il principe d’ogni stoltizia„.[2] Or la sapienza è il supremo degli spiriti; e gli spiriti sono figurati dal Poeta in candelabri raggianti.

Ma in qual rapporto sono essi con le beatitu-

  1. Speculum Beatae Virginis, IV. Prendo la citazione dal «Dizionario Dantesco» del Poletto.
  2. D. Bern. De Maria, V. Sermo.