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386 | sotto il velame |
dano e riottengono “duro e rifermato„ quel tallo, hanno poi la dolcezza, non più della caduca ma dell’eterna felicità. E quanto è probabile che quei candelabri che di lungi sembrano “arbori d’oro„, siano di queste biade che germogliano!
Si dirà: Le beatitudini equivalgono alle virtù opposte al vizio per il quale sono pronunziate. Sta bene. Un noto passo di S. Bonaventura c’insegna quali sono queste virtù.1 Benissimo. Eppure, se intendiamo che la povertà in ispirito sia umiltà e la misericordia sia carità e la placidezza sia lenità e la mundizia di cuore sia verginità o castità; intendiamo meno come la sete di giustizia sia povertà e la fame di giustizia sia sobrietà, e meno ancora, come il pianto, beatificato nella cornice dell’accidia, sia sollecitudine. Contro la tristizia a cui si riduce l’accidia, raccomandato il pianto? Dovete essere giocondi, nell’aer dolce e nel sole: si dice nell’inferno; e si dice nel purgatorio il medesimo con l’esempio della femmina balba: e poi qui si proclamerebbe: Beati qui lugent? Non si intende. S’intende invece perfettamente, quando nei fatti di Maria si vedano adombrati i sette doni dello Spirito: di Maria, la quale dal suo fedel Bernardo è detta aver penetrato “il più profondo abisso della sapienza divina„ e aver conculcato “l’insipienza„, “lo stolto, il principe d’ogni stoltizia„.2 Or la sapienza è il supremo degli spiriti; e gli spiriti sono figurati dal Poeta in candelabri raggianti.
Ma in qual rapporto sono essi con le beatitu-