propone nella prima e nell’ultima: Beati i poveri in ispirito, chè di essi è il regno dei cieli; beati quelli dal cuore puro, chè essi Dio vedranno. Per Dante sono pronunziate tali divine parole; e Dante andrà nel regno de’ cieli e vedrà Dio, così come qualunque altra di quell’anime penitenti via via. Il peccato si cancella e suona l’annunzio. Ora noi dobbiamo aspettarci (senz’essere così indiscreti da pretendere: Dante farà quel che crede!), noi peraltro dobbiamo aspettarci di trovare nel paradiso di codesti poveri in ispirito e misericordiosi e vai dicendo. Ma, prima di tutto: codeste beatitudini non sono propriamente quelle di Matteo e tutte quelle di Matteo.1 Nel suo Vangelo, dopo i poveri sono i miti che possederanno la terra; e nella Commedia non sono. Di più, Dante fa due beatitudini d’una che è semplice: Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, che saranno sazi; di più, il Vangelo ha: Beati quelli che soffrono persecuzione per la giustizia; e Dante questi non li ha. Di più, l’ordine è diverso. Quello di Matteo è questo: poveri, miti, piangenti, famelici e assetati, misericordi, mundicordi, pacifici, perseguitati. Quello di Dante abbiamo veduto che finisce coi mundicordi. E di ciò si vede la ragione. Quella beatitudine si conclude con le parole: chè Dio vedranno. Orbene: la mondizia del cuore è “l’effetto della vita attiva che dispone alla vita contemplativa„: questo effetto è che “la mente non sia macchiata di passioni„.2 “La mondizia dell’occhio dispone a veder chiaro; perciò ai mundicordi è promessa la divina visione„.3 Vero è che un senso analogo a questa il dottore
- ↑ Ev. sec. Matth. V.
- ↑ Summa 1a 2ae 69 3.
- ↑ ib. 4.