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322 | sotto il velame |
Eppure possiamo noi proprio dire che questi del purgatorio mondino peccati d’incontinenza? Sì d’incontinenza; ma mondano, non espiano; mondano la macchia lasciata da quei peccati. E quale è questa macchia? È l’amore che s’abbandona troppo. Chè l’amore si piange per quei tre cerchi.1 E così il lento amore nella quarta cornice; e così, sotto a quelle, il triforme amore che erra per malo obbietto.2
Ora l’amore è il piegar dell’animo, il quale così “entra in desire„ e non ha quiete se non nella gioia del possesso. Nel purgatorio si sconta dunque quel primissimo moto, che erra; quel desire che è troppo forte o troppo fievole; non la gioia in cui s’acqueta. Questa gioia fu ripudiata dai peccatori prima di morire.
Vidi che lì non si quetava il core,
esclamava l’avaro pentito. Invero tutte “converse„ sono queste anime: dal bene che non è bene, a cui volgersi è ritorcersi da Dio, si conversero al bene immutabile; e dalla tepidezza messa in ben fare passarono ad acuto fervore.
Quell’amore è dunque la macchia; ma, s’intende, di quando è divenuto desiderio, prima di essersi fatto gioia. Il solo “piegare„ è “natura„.3 Quella “prima voglia„ non è nè lodevole nè biasimevole.4
Ora, è così semplice la macchia di quelli altri erranti d’amore?5