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cati di malizia di cui ingiuria è il fine; nel purgatorio quelli di coloro che sperarono eccellenza, che temerono di perdere podere, grazia, onore e fama, che si adontarono per ingiuria ricevuta.1 In questi peccati dunque sarebbe stata volontà iniqua, perchè vi fu cupidità. In vero la loro reità è più complessa che quella dei peccati per poco o troppo di vigore. Dice il poeta:2

               Ciascun confusamente un bene apprende,
               nel qual si queti l’animo, e desira:
               perchè di giugner lui ciascun contende.
               
               Se lento amor in lui veder vi tira,
               o a lui acquistar, questa cornice,
               dopo giusto penter, ve ne martira.

L’animo è qui, come in Dante spesso se non sempre, appetito sensitivo. “L’amore è qualche cosa che appartiene all’appetito„.3 E questo appetito è quello sensitivo, differente dal naturale e differente dal razionale o intellettivo, ossia volontà: è quell’appetito che negli uomini, a differenza dei bruti partecipa della ragione, in quanto alla ragione ubbidisce. E come questo appetito è concupiscibile o irascibile, così del concupiscibile è l’amore rispetto al bene assolutamente e dell’irascibile rispetto all’arduo.4 Or questa lentezza d’amore è certo rispetto all’arduo, poichè arduo parve il bene da vedere o da acquistare, a quelle anime, sì che adesso in loro “fervore acuto„

  1. Purg. XVII 115.
  2. ib. 127.
  3. Summa 1a 2ae 26, 1.
  4. Summa 1a 2ae 26, 1.