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sì che possa da sè scavare i fori nella pietra, per entrare nel più intimo del Verbo, con vigore e purità d’animo„.1 E Dante s’è nascosto sotterra; il che vuol dire: egli contempla. Non basta: egli non saprebbe portare ad altri il frutto della contemplazione sua. Dice S. Bernardo che non suona la voce del contemplante, se non scava il foro da sè. Da sè scavò il foro l’autore dell’Apocalissi, che s’immerse nei penetrali del Verbo. Da sè, colui che parlava sapienza tra i perfetti, sapienza nascosta nel mistero; che giunse al terzo cielo dove udì parole ineffabili che non gli fu lecito ripetere. Ora Dante dichiara sè simile a questi due perchè egli afferma di avere avuto nel cielo comando, non che licenza, di ridire le parole della sua contemplazione. Pietro in persona lassù gli dice:2

                                        Apri la bocca,
               e non asconder quel ch’io non ascondo!

In ciò è la singolar grandezza dell’assunto di Dante; in ciò è la confessione della piena coscienza che egli ne aveva. La voce della contemplazione sua non risonò soltanto nel segreto della sua coscienza, come il gorgoglio del fiumicello che si ode e non si vede; ma egli la gettò fra gli uomini e fece manifesta la sua visione.3 Egli dunque, secondo la mistica

  1. Id. ib. 62. Le prime parole sono di Isaia 26.
  2. Par. XXVII 65 seg.
  3. Par. XVII 128. Riporto esattamente due passi del Sermone 62. Per «cavare et in petra, puriori mentis acie opus est et vehementiori omnino intentione, etiam et meritis potioribus sanctitatis. Et ad haec quis idoneus? Nempe». S. Giovanni, S. Paolo e forse David: dice S. Bernardo. L’ispirazione che a Dante venne da questi sermoni è manifesta. Dopo la ghiaccia e Lucifero trova Dante il foro di