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l’altro viaggio 313

della pietra; e anche per questa, la mente, con la contemplazione stessa, fora la pietra.

Ora le rovine dell’inferno furono cagionate dalla morte del Redentore; non dal viatore che per esse prese via. Il foro nella pietra fu aperto dal fonte della misericordia, non da colui che per quello sale a veder le stelle. Ma ricordiamo il concepimento iniziale della discesa negli inferi e del passaggio dell’Acheronte. In Gesù l’uomo scende, in Gesù l’uomo passa. Si rinnova il terremoto stesso che alla morte del Redentore scrollò gli abissi e fece le tre rovine. Le tre rovine sono come rinnovate da colui che scende e muore in Gesù. Misticamente dunque Dante fa da sè le caverne di macerie, le rovine di contemplazione. Le quali non rappresentano, è vero, la meditazione intorno agli atti e ai riposi dei celesti; ma è anche vero che non sono nei cieli, sì negli abissi; e quindi rappresentano la contemplazione non di atti di pietà, ma di disperazione, non di riposi beati, ma di martorii crudeli; e non di celesti, ma di dannati. E così Dante ha stupendamente corretto il pensiero del veggente di Chiaravalle; perchè questa di Dante è sì, e veramente, contemplazione per la quale si vedono le spalle (posteriora) di Dio; chè l’inferno è popolato di aversi.1

Dante ha obbedito a S. Bernardo. Questi grida: “Entra nella pietra, nasconditi nella fossa... All’anima ancora inferma ed inerte si mostra la fossa della terra, dove si celi, finchè riprenda forza e profitti,

  1. In S. Bon. Summa VII, 3,3, per posteriora s’intende anche «gli effetti». E gli effetti (vedi Th. Summa 2a 2ae 180, 4) divini sono sì i giudizi sì i benefizi.