Pagina:Sotto il velame.djvu/323


le rovine e il gran veglio 301

nisce Dante ch’esso è all’ultimo della sua passione:1

               Ecco Dite... ed ecco il loco
               ove convien che di fortezza t’armi:

di fortezza o d’ira, che torna lo stesso. E così qui muore la terza volta, e se l’azione continua, la passione è finita. E Dante per risorgere non ha, se non cammino da fare. Per un cammino malvagio, entra in un cammino ascoso, si trova a piè d’un monte. Deve arrampicarsi per quello; e agire ancora e patire; ma soave è qui la pietà, e la fatica a mano a mano più lieve, finchè cessa. Non resta che attraversare un fuoco purificatore; poi rivedrà Beatrice e giungerà a Dio.

Così Gesù Cristo fu “viatore„. Il “viatore„ è chi muove al fine della beatudine. Ma Gesù era anche “comprenditore„, chè aveva la beatitudine propria dell’anima.2 Dante comprenderà anch’esso, quando vedrà Beatrice; e d’allora in poi avrà finite il suo cammino e quieterà nel suo fine. Non sarà più viatore chi sale di spera in spera contemplando.

In tanto è viatore e guerriero. Ma per quanto egli stesso ci dica che la sua guerra fu del cammino e della pietà, non sola pietà e ira noi troviamo nella sua passione; non soli codesta ira e il molle affetto che “la censura del giudizio possono precipitare o snervare„.3 Invero di pietà muore nel cerchio dei peccatori carnali, di timore od orrore egli nè morì nè rimase vivo avanti Lucifero. Il timore è da aggiungersi alla pietà e all’ira; all’ira animatrice della

  1. Inf. XXXIV 20 seg.
  2. Summa 3a 15, 10.
  3. D. Bern. De cons. II.