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le rovine e il gran veglio 297

che Dante aveva trasportati nel suo inferno, con quella designazione misteriosa di ombra e con quella precisa determinazione di tricorpore, era singolarmente acconcia a figurare il simbolo che doveva succedere ai centauri e alle arpie e alle cagne, e avere una natura in più sulle due di quelle. È lo stesso processo logico che osservammo in Caco, a cui il poeta aggiunge il serpente, trasportandolo dal primo al secondo cerchietto.1 Ma Gerione, che egli trovava vicino alle arpie e ai centauri, tre corpi o tre nature le aveva da sè, senza bisogno di altra giunta. E d’altra parte era uno de’ vinti da Ercole, come Cerbero e come Caco: da Ercole, che è fatto in più luoghi ombra pagana della sola ed eterna potestà.2

E le furie col Gorgon? Le tre formano, col Gorgon in comune, un essere solo triplice o trigemino, e raffigurano certo i tre peccati dei tre cerchietti: malizia con forza, malizia con frode, malizia con tradimento. Il Gorgon è l’indurimento e accecamento che segue ai peggiori peccati; sì che la conversione da essi a Dio è pur così difficile, come Dante mostra con la difficoltà di risalir la rovina della sesta bolgia e di arrampicarsi per i peli di Lucifero, e con la legge, che chi trade come Giuda, cade subito in inferno come Lucifero3 e ricetta, come Giuda, un diavolo nel suo corpo. Or le tre furie equivalgono al leone e alla lupa, se il leone figura la violenza e la lupa la frode; od alla

  1. Che quell’ombra tricorpore fosse Gerione, Dante o sapeva da Servio o supponeva da sè, comparando il 202 dell’VIII, dove è Gerione tergemino, come, poco lontano, al 293, sono i centauri bimembri e, al 194 e 297, Caco semihomo e semifero.
  2. Inf. IX 98 e XXVI 108, XXXI 123, oltre che in XXV 32.
  3. Inf. XXXIII 121 segg.