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280 | sotto il velame |
proclama, dell’altro, Dante lo legge.1 C’è, senza dubbio, una gradazione con quelli del limbo; dei quali pur nessuno si noma da sè, e Virgilio stesso sul primo apparire a Dante il suo nome non dice, sebbene l’esser suo dichiari; ed anche a Sordello comincia con l’indicarsi per la patria, sebbene poi dica anche il nome, che a Stazio è detto da Dante e non da lui. Ma lasciamo questo, sebbene non sia assurdo pensare oltre che alla modestia del virgineo, anche a una peritanza consimile a quel turbamento da cui il dolce poeta fu preso una volta.2 Certo è che l’inordinazione dell’intelletto si ha da intendere a quel modo che Dante insegna per bocca di Virgilio:3
dove l’argomento della mente
s’aggiunge al mal volere ed alla possa;
si deve, dunque, dire che la vergogna è maggiore dove è maggiore l’inordinazione della mente posta al servigio del mal volere. E si può così definire quest’inordinazione, considerando in che consista la frode e che parte vi abbia l’intelletto. Frode è dell’uom proprio male, cioè con la mente. Per questo essere con la mente, rimorde la coscienza, perchè la mente vede chiaramente il male che fa o aiuta a fare. Si usa in colui che si fida e in chi non si fida. Il primo de’ due modi uccide l’amor naturale e lo speciale; il secondo, solo quel primo vincolo dell’amore che ci lega a tutte le creature. Ora, secondo il Poeta, la mente, in tali peccatori, è inordinata per ciò che sa e vede l’un vincolo e l’altro, e pur l’oblìa