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274 | sotto il velame |
con ira.1 Non è caso. Dante non racconta una passeggiata delle nostre solite, in cui avvengono tante cose e si dicono tante parole, come vien viene. Gli accidenti, i conversari, il caso, per dir tutto in una parola, è, in questo viaggio oltremondano, invenzione del Poeta. E ha quindi il suo perchè anche quello che sembra caso. Il fatto è che qui risorge l’ira che Virgilio mostrò contro l’Argenti e contro Capaneo; e che qui si descrive un vergognar di Dante, che anche il duca trova eccessivo:2
Quand’io senti’ a me parlar con ira,
volsimi verso lui con tal vergogna,
ch’ancor per la memoria mi si gira:
e qual è quei che suo dannaggio sogna,
che sognando desidera sognare,
sì che quel ch’è, come non fosse, agogna;
tal mi fec’io, non potendo parlare,
che desiava scusarmi, e scusava
me tuttavia, e nol mi credea fare.
Dante qui insegna, come sempre. Insegna qui che in vita abbiamo, per non cadere in certi falli o per risorgerne poi, questa vergogna, testimonio della coscienza; vergogna che se non abbiamo da vivi, con frutto, avremo da morti in vano.
XI.
E l’ira? Virgilio in questo cerchietto s’è rissato un’altra volta davvero col suo discepolo. Gli ha detto:3
- ↑ Inf. XXX 133 segg.
- ↑ ib. 133 segg.
- ↑ Inf. XX 27 segg.