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le rovine e il gran veglio | 273 |
Guido di Montefeltro non dice il suo peccato se non perchè crede di parlare a un morto:1
s’io credessi che mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
questa fiamma staria senza più scosse.
Non ha “tema d’infamia„ e pure il suo nome non dice. E il rimorso di costoro è significato anche dall’errar continuo, come lucciole nella vallea.
Nella nona bolgia gli autori di scandoli e di scismi si nomano: il primo d’essi, però, Maometto, perchè crede Dante dannato; e Pier di Medicina, per predire malanno ad altri. E questi e il Mosca e Beltram del Bornio mostrano pure desiderio che di loro vadano novelle nel mondo.2 Nel che credo si debba vedere speranza, più di nuovi scandoli e scismi, che di fama. Il fatto di Geri del Bello è quel di tutti; e Dante così suol parlare, una volta per tutte.3 Geri del Bello vorrebbe che la discordia continuasse e che il suo sangue rifermentasse. E anche i falsificatori si governano in vario modo ed o con sè nomano altri o si dichiarano rei di altra colpa di quella che fu loro apposta, e questa colpa, come l’alchimia, è tale da ammettere alcun vanto.4 C’è, insomma, più o meno vergogna in tutti i dannati di Malebolge; e in alcuni, se volete, punta; ma tutta la trattazione di questa specie di peccatori si conclude (e per me non è caso) con un suggello suo proprio; che è un grande vergognare di Dante. Al quale Virgilio (e non è caso nemmeno questo) parla
- ↑ Inf. XXVII 61 segg. 66 e segg.
- ↑ Inf. XXVIII passim.
- ↑ Inf. XXIX 18.
- ↑ Inf. XXIX e XXX passim.
Sotto il velame | 18 |