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270 | sotto il velame |
ha detto il nome di lui. Nella terza è papa Niccolò che dice il suo fallo, dopo avere accusato Bonifazio e non senza accusar poi altri predecessori; e il nome suo lo accenna, non lo dice: fui figliuol dell’orsa; e dopo l’invettiva di Dante springava coi piedi,1
o ira o coscienza che il mordesse.
Non sembra mostrar vergogna lo sciagurato della bolgia quinta, il quale dice il suo essere, se non il suo nome; ma era, quando parlava, col ronciglio tra le chiome!2 Nè vergogna mostrano i due frati godenti; ma nel cauto discorso di Catalano si vede chiara l’intenzione di nascondere la loro reità:3
frati godenti fummo e bolognesi;
io Catalano e questi Loderingo
nomati, e da tua terra insieme presi,
come suole esser tolto un uom solingo
per conservar sua pace, e fummo tali,
ch’ancor si pare intorno dal Gardingo.
Poveretti! sì che Dante comincia col volerli rimbeccare, gl’innocenti uomini solinghi:4
O frati, i vostri mali...
Ma Caifas si distorce e soffia “nella barba co’ sospiri„.5 Non vuol essere veduto, Caifas. Nella settima bolgia è poi manifesto il pensiero di Dante intorno alla vergogna dei dannati. Vanni Fucci dice