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le rovine e il gran veglio 263

e la sua facultade è quella tristizia dello Stige, che è come l’avanzo della concupiscenza, al modo che lo Stige è lo scolaticcio del fiume che non visto se non all’ultimo, passa per i cerchi dell’incontinenza carnale; al modo che la dolce sirena è nel tempo stesso la femmina balba; al modo che contro la lonza leggiera e presta molto è dato come rimedio l’aer dolce che è rimedio ai tristi. Ebbene, se in altri mai, quella tristizia aveva a essere nei violenti contro natura. Dalla concupiscenza passarono alla tristizia, dalla tristizia all’ira bestiale, dall’ira bestiale alla violenza contro Dio. Jacopo Rusticucci afferma:1

                                                  e certo
               la fiera moglie più ch’altro mi nuoce.

Parole non ci appulcro.

E concludo, che avanti l’arche, nel cimitero di color che hanno mala luce, Dante ha esercitato la virtù di quel lume che si chiama la prudenza; e che nel cerchietto della prima specie d’ingiustizia, ha esercitato la virtù di giustizia; e che là fu riverente e pio sebbene non senza alcuno sdegno, mentre qua si mostra combattuto dalla pietà dove l’incontinenza predomina, e tratto a sdegno dove predomina l’ingiustizia. Di che darò la riprova nel capitolo seguente. E infine ripeto che in questo cerchietto s’è spenta l’ira, l’ira bestiale, che è tanto nemica alla giustizia, quanto le è amica e propugnatrice l’ira di zelo, che disserrò le porte dell’ingiustizia, dopo aver varcata senza scorta i cerchi della concupiscenza e passata

  1. Inf. XVI 44 seg.