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258 | sotto il velame |
migliati per non essere quasi conoscibili e nominabili, e perchè con loro i ragionamenti hanno a essere corti, gli avari,1 per l’una e per l’altra ragione sono ben dichiarati ingiusti.
Il concetto di giustizia domina dunque in tutto questo cerchietto; sì che le parole di Virgilio con le quali dice d’avere spento2 l’ira bestiale del Minotauro, hanno nella nostra mente un’eco, e a un tratto, distinta. Quelle parole significano un ammonimento per ciò che il Poeta dice altrove:3 “Quanto all’abito, la giustizia ha contrasto alcuna volta nel velle; chè, quando il volere non è sincero da ogni cupidigia, sebbene la giustizia ci sia, non tuttavolta c’è nel fulgore della sua purezza; come quella che ha in qualche modo una pur menoma resistenza nel suo subbietto; per il che bene sono respinti quelli che tentano passionare il giudice„. L’ira bestiale non raffigura certo un minimo, sì un massimo di cupidigia che appassiona i giudici, siano essi d’altrui, siano di sè e di Dio; è la passione chiamata di lì a poco “cieca cupidigia e ira folle„; la quale deve essere spenta in ogni nostro giudicare.
È una passione e ha sede, perchè tale, nell’animo o nell’appetito; in quell’animo che fece ingiusto Pier della Vigna; in quel core che ha tanta parte nel peccato di Capaneo;4 in quell’appetito sensitivo dove stagna la tristizia di chi5
piange là dove esser dee giocondo.
E perciò questa violenza, che è pur l’ingiustizia