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bero, per esempio, tra quelli che fecero forza nella Deitade1 o tra gli autori di scismi o anche tra i traditori. Il loro fu peccato omninamente speculativo.

Di loro non si ragiona nella partizione che fa Virgilio dei peccati e delle pene. E così non si ragiona, in quella, degl’ignavi del vestibolo e dei sospesi del limbo. D’un dei peccatori si dice che fu di quelli “che a ben far poser gli ingegni„, e che fu sì degno.2 A questo Dante desidera parlare, e da tempo, e gli mostra riverenza e ammirazione e anche pietà.3 Tutto ciò e con proprie parole e sopra tutto col fare dell’Uberti il più sublime e del Cavalcanti il più affettuoso de’ peccatori infernali; col persuadere a noi la riverenza e l’ammirazione e la pietà per loro. Inoltre lo sdegnoso è chiamato “magnanimo„4 cioè forte. Ed ecco che Farinata e gli altri sono il proprio contrario dei non forti che schiamazzano e gorgogliano alle falde della città; come Virgilio, pur magnanimo,5 e gli altri spiriti magni sono il proprio contrario degli sciaurati che corrono e gridano oltre il fiume. In verità gli sciaurati e i sospesi sono al loro posto, per la difficultas o infermità originate i primi, per l’ignoranza pur originale i secondi; e qui i fangosi sono fuor di Dite per l’infermità attuale, che li rese inetti alla giustizia, e i sepolti sono dentro Dite per ignoranza attuale o volontaria o mala, non ostante la loro giustizia.

Nel limbo Dante vede “la scuola di quel signor dell’altissimo canto„; ha dai grandi poeti, dopo che essi hanno un po’ ragionato con Virgilio, un salu-

  1. Inf. XI 46.
  2. Inf. VI 79 segg.
  3. Inf. X 18, 43, 94, 109.
  4. ib. 73.
  5. Inf. II 44.