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sente? E il Messo parla. Non è Enea che ricorda il discorso di Caronte, la prima volta che discese?1 “Egli venne a legare il custode del Tartaro...„: chè dice: Cerbero vostro. E in quel medesimo discorso Proserpina è chiamata “la signora„. Come non se ne ricordò Dante allor che disse “la signora dello eterno pianto„? E ancor più significativo, e adatto ad Enea, eroe pagano, come la menzione di Cerbero, è quel verso:2

               Che giova nelle fata dar di cozzo.

Dante aveva presente il Desine fata deum della Sibilla; aveva presente, sopra tutto il comento di Servio alle parole “verga fatale„; comento che si riduce a richiamare il si te fata vacant.3 Anche la forma “fata„ è importante; come importantissimo è il notare che il verso

               ond’esta tracotanza in voi s’alletta?

è la traduzione d’un esametro virgiliano seguito a poca distanza dall’altro pur tenuto presente:4

               unde haec... tibi tam dira cupido?
               . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
               Desine fata deum flecti sperare.

Mirabile, e degno di attento studio, è questo appropriare che Dante fa del linguaggio alle sue persone: da Nembroto che parla la sua lingua inintelligibile,

  1. Aen. VI 395 sqq.
  2. Inf. IX 91 segg.
  3. Aen VI 376. Serv. ad VI 409. È richiamato il verso 146.
  4. Aen VI 373, 376.