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mi pare, un processo di proporzione evidente tra Enea e il Messo. Enea è portato ad esempio di perfetta temperanza e fortezza, e poi è detto giusto per eccellenza e instauratore della giustizia; il Messo è dimostrato supremamente temperante e forte, per la sua discesa senza scorta dai cerchi della concupiscenza, e poi è detto aprire la porta della ingiustizia. E le prime parole ch’egli dice ai diavoli e tutte le altre suonano questo senso: Perchè vi ribellate alla giustizia di Dio? Chè malizia per eccellenza, cioè ingiustizia, è la opposizione a Dio.

E il Messo apre con una verghetta. Apre con essa la porta di Dite. Avanti la porta arcuata che interrompe le mura ferree della casa di Dite (che Dante forse confuse e a ogni modo fuse con la porta e le mura del Tartaro) l’Enea Virgiliano figge il ramo d’oro, che il poeta chiama “venerabile donum fatalis virgae„.1 O non è quella verghetta? Come si doveva Dante rappresentare quell’Enea ch’egli diceva di non essere, ma di cui imitava ora il viaggio, se non con la verghetta in mano? Ma nell’Eneide la verghetta non serve ad aprire e passare. Eppure nel testo di Virgilio Dante leggeva:2

               Occupat Aeneas aditum . . . .
               . . . . ramumque adverse in limine figit;

e leggeva in Servio: ingreditur, sicut supra diximus. E supra3 leggeva la medesima espressione per dire proprio: entra. E più sopra4 leggeva che mediante quella “fatale verga„ si faceva traghet-

  1. Aen. VI 636, 408.
  2. ib. 635 sq.
  3. ib. 424.
  4. ib. 406 segg.