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240 | sotto il velame |
giustizia è la virtu che assomma le altre, con il cui uso si ottiene la beatitudine buona, se non ottima. E così Virgilio s’annunzia come il poeta dell’eroe giusto e padre dell’impero; quasi dicesse il poeta dell’attività o civiltà umana. E così Dante esce in quei ricordi così intempestivi, come sembrano, del successor di Piero e del papale ammanto. Al cantor della vita attiva Dante, a voler dir lo vero, con la modestia del discepolo, col rispetto all’infelice, soggiunge: la qual vita attiva o civile è preparazione all’altra, alla contemplativa o spirituale. Nè a caso è ricordato con Enea, Paolo: il primo scese agl’inferi, l’altro salì ai cieli; l’uno per la giustizia, che assomma le virtù cardinali, l’altro per la fede, che assomma le virtù sante; l’uno per il cammino del mondo, l’altro per quello di Deo. Ma basti per ora. Tuttavia chiediamo a Dante un altro perchè. Perchè quelli “del primo grado„, quelli che senza speme vivono in desìo, fanno, di rado bensì, ma qualche volta fanno, il cammino per il quale va Virgilio? Si muovono, cioè, per l’inferno, al contrario degli altri dannati, che sono confinati nel luogo della lor pena? Discendono per li cerchi dell’incontinenza ed entrano dalla porta della malizia e giungono infino all’ultimo dei tre cerchietti? Hanno, cioè, il passo per tutti i cerchi del peccato attuale? Risponde, per ora, il poeta: Perchè essi non si vestirono le tre virtù teologali, ma1
senza vizio
conobber l’altre e seguîr tutte quante.