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scendere nell’inferno della malizia o dell’ingiustizia. E Virgilio risponde, che la cosa è rara, ma possibile; ch’esso andò altra volta sino al più basso; “nel cerchio di Giuda„.1 E soggiunge: che la palude cinge Dite,2

               u’ non potemo entrare omai senz’ira.

Senz’ira, di chi? di Virgilio? Ma egli aspetta un altro. Eppure, a rassicurar Dante, dice che esso fece già il cammino sino al “più basso loco e il più oscuro„. E tuttavia non dice che egli può farsi strada; dice che “sa„ il cammino. E tuttavia non dice che l’altra volta facesse un viaggio simile a questo che ora fa con Dante; dice che l’altra volta fu “congiurato„ da una maga, per trarre dall’inferno uno spirito. Con quel “vero è„ Virgilio sembra subito preparare il suo ascoltatore alla differenza che c’è tra quel caso e questo. Quella volta non ci fu resistenza da parte dei diavoli, e da parte sua non ebbe luogo ira. Questa volta, sì, occorrerà ira, e sarà una battaglia, ed esso vincerà con l’ira, cioè con la fortezza. Ma la fortezza sarà d’un altro che egli aspetta.

La sua invero non basta: è una fortezza puramente umana. Aristotele,3 riportato nella Somma,4 numera cinque modi di fortezza non vera. Lasciando i due ultimi, forte alcun può sembrare piuttosto che essere, se si volge a ciò che è difficile come se difficile non sia. Virgilio in vero si rivolge sulle prime ai diavoli, come se altro con loro non occorresse se non ciò che gli bastò con Minos, con Pluto, con

  1. Inf. IX 27.
  2. ib. 33.
  3. Eth. III 8. Magn. Mor. I 20; Mor. Eud. III, 1.
  4. Summa 2a 2ae 123, 1.