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le rovine e il gran veglio 229

quell’ira che è strumento della virtù, è quell’ira che rende più veemente l’impeto contro gli avversari.

Ma quell’ira è uno strumento della virtù, non è una virtù; poichè è una passione, ripeto. Quale è la virtù di cui è strumento? Quella di cui è cote, secondo i Perlpatetici; quella di cui è arme e sprone, secondo Dante: la fortezza o magnanimità, che per quella si accende. Ebbene, come si sostituisce al nome della passione, contenuta ne’ suoi modi, il nome della virtù, che per quella si esercita; così si deve sostituire al nome della passione, quando è dismisurata, quando non ubbidisce alla ragione, quando non è freno nè sprone, il nome del vizio, cioè dei due vizi collaterali, che per quella dismisura si formano. E questi sono audacia e timidità, oppure, orgoglio e tristizia.

Fortezza è la virtù di Dante quando inveisce contro il fangoso; fortezza, quella di Virgilio e del Messo; chè a fortezza pertiene stare contro qualunque ostacolo;1 a fortezza spetta conservare tutto l’ordine della giustizia.2 Tutto in questo episodio parla di fortezza. E non voglio tacerne un esempio, atto singolarmente a darci un’idea dello stile drammatico e allegorico del poeta. Dice Virgilio a Dante spaurito e scoraggiato:3

               Ma qui m’attendi; e lo spirito lasso
               conforta e ciba di speranza buona...

C’è il senso ovvio delle parole, ma c’è anche un senso dottrinale; c’è l’eco di questa asserzione di

  1. Summa 2a 2ae 123, 2.
  2. ib. 12.
  3. Inf. VIII 106 segg.