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le rovine e il gran veglio | 227 |
sono quelli per i quali intorno a queste cose (ira, timore, odio, etc.) ci comportiamo bene o male, come per l’escandescenza; che se ciò facciamo con ismodata iracondia, noi pecchiamo intorno all’ira; se in ciò che conviene non siamo commossi d’ira, così ancora pecchiamo intorno all’ira. Il giusto mezzo è dunque che non ci commoviamo smodatamente, nè siamo al tutto lontani d’ogni commovimento„.
Ognun vede che qui, in mezzo al soverchio e al difetto, c’è un’ira che s’ha a chiamar buona, e che non è un vizio, ma una passione. Il dissidio tra Peripatetici e Stoici è tutto su questa parola, a detta di S. Tommaso: gli Stoici non riconoscono passione buona e quindi affermano che i Peripatetici mettono come virtù un vizio. Ma Dante è con S. Tommaso, poichè ammette un’ira di Virgilio e di sè e del Messo buona, e un’ira persino di Dio, sebben metaphorice, e una vendetta di lui. E si vede chiaramente che egli pone tra quelli che si commuovono smodatamente, ciò sono i rissossi, e tra quelli lontani d’ogni commovimento, vale a dire i fitti nel fango, sè stesso e Virgilio e il Messo del cielo i quali hanno un giusto mezzo d’ira. E quelli sono incontinenti d’ira, come quelli del cerchio precedente sono incontinenti dell’amor delle ricchezze: dismisurati dunque. E questa espressione “incontinente d’ira„ è di Aristotele e della Somma, a ogni tratto, invece che “incontinente d’irascibile„; e non significa proprio nella Somma, colpevole del quinto peccato capitale; ma incontinente di quella passione dell’anima che è detta ira: incontinente della passione, non del vizio.1
- ↑ Per esempio, Summa 1a 2ae 77, 2; 78, 4; 2a 2ae 53, 6; 156, 4 etc.