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222 sotto il velame

Argenti e i rissosi del pantano? Ma dunque, per Dante, l’ira è sempre senza ingiuria? Perchè costoro non sono colpevoli di malizia, della quale, ingiuria è il fine: sono di qua non di là della città roggia. Sempre senza ingiuria? Così fatta che l’ingiuria ne è sempre esclusa?

Dicono: di là degli spaldi, sarà punita l’ira con ingiuria; qui è l’ira senza ingiuria. Già: di qua anche la lussuria senza il suo atto o abito proprio? e così gli altri peccati d’incontinenza? Perchè l’ingiuria, ingiuria per ingiuria cioè vendetta, è il proprio fine dell’ira, come il piacer carnale è della lussuria, e la ricchezza che mal si tiene o mal si spende, dell’avarizia.

Un’ira senza ingiuria sarebbe come una lussuria senza piacer carnale e come una avarizia senza mal dare o senza mal tenere. Diranno: un’ira senza altra ingiuria che meditata e non fatta. Già: come una colpa della gola senz’altro stravizio che pensato e disegnato: colpa da poverini, e non da Ciacchi. Ma via: l’ira che medita ma non fa l’ingiuria, non è ira. L’ira è pronta, è subitanea, è pazza. Dice S. Tommaso che tristizia, non è ira, si forma nel cuore di chi la vendetta non ispera.1 E a ogni modo veniale è l’ira che non si conduce ad effetto.2 È un movimento cattivo seguito da un buono.

Ma diranno ancora: le genti fangose stanno con sembiante offeso e si percotono3

                                    non pur con mano,
               ma con la testa e col petto e co’ piedi,
               troncandosi coi denti a brano a brano.

  1. Summa 2a 2ae, 138, 3.
  2. Summa 1a 2ae 46, 1.
  3. Inf. VII, 111 segg.