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le rovine e il gran veglio | 221 |
mano le pietre per lapidare Moisè ed Aronne, chi non direbbe che sono rei d’ira?1 Vedendo le donne troiane furiose (actae furore) inalzare insieme un alto grido e prendere il fuoco di su l’are e ardere le navi; chi non direbbe che sono ree d’ira?2 E no: a questi e a quelli dispiacque il bene, la gloria, la terra promessa: sono rei d’accidia, come afferma Dante, ponendo gli uni e le altre, sebbene pure schiamazzassero e prendessero in mano fiaccole e pietre, ad esempio appunto d’accidia.3 Chè l’accidia è definita, in quel canto, negligenza e indugio messo per tepidezza in ben fare. Qual peccato è di Filippo Argenti, di cui si dice che
bontà non è che sua memoria fregi?
Non è quello stesso dei gran re che staranno come porci in brago, lasciando di sè disprezzo? Perchè questo accenno alla memoria lasciata dai peccatori della palude? Come mai consuona così perfettamente con ciò che Dante dice della turba troiana che
sè stessa a vita senza gloria offerse?
Il Poeta dice che il medesimo castigo nello inferno e la stessa cattiva memoria nel mondo aspetta sì quelli che in vita dormirono e sì quelli che sembravano anche troppo desti: gridarono, s’atteggiarono, si pompeggiarono: e non fecero nulla di buono. I gran regi? Già, grandi furono: molte parole e fatti pochi, gran gesti e punte gesta. Reo d’ira Filippo
- ↑ Num. XIV: Cumque clamaret omnis multitudo etc.
- ↑ Aen. V 659 segg.
- ↑ Purg. XVIII 133 segg.