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tutta la sua furia, non si slancia contro gli assalitori e gridatori e beffeggiatori. E poi? Dante più non ne narra; ma il pericolo in cui l’orgoglioso si trova e le percosse che riceve o riceverà, non avranno potere di rendergli la sua audacia, chè, a destar l’audacia, occorre l’ira, e l’ira non sorge, per lesioni, se non c’è qualche speranza di vendetta. È dottrina della Somma e di Aristotele.1 L’Argenti rassomiglierà ai tristi, perchè tristizia nasce e non ira, quando non c’è quella speranza:2 ai tristi, ai quali gli audaci assomigliano in un’altra cosa: nel tremore; sebbene nei primi avvenga per il correre del sangue alle parti basse e nei secondi per il suo affluire al cuore.3 A ogni modo pensiamo che l’audacia è tanto contraria, quanto è la timidità, alla fortezza, e che l’audace è un non forte, un vile, come il timido; e ripensiamo che il vizio di Filippo Argenti è quello dei colombi che fanno la rota, e poi per un po’ di contrasto s’impaurano e volano su rombando.


VII.


Difficile è sbarbare le quercie secolari, quando tutta la roccia vien via con loro.

Si dice: Color cui vinse l’ira, sono certamente rei d’ira, checchè s’argomenti. Bene. Vedendo la moltitudine degli Ebrei schiamazzare e prendere in

    è per me «la baia». L’Ottimo pare intenda così. «Discrive l’autore come fu contento dello strazio, che fu fatto di quello spirito, e ivi palesò il nome suo». Ivi, cioè nelle grida: e lo strazio era dunque di grida.

  1. Summa 1a 2ae 45, 4.
  2. ib. 46, 1.
  3. ib. 45, 4.