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216 | sotto il velame |
ossia tra l’incontinenza, prima è la pietà e poi lo sdegno: pietà per la concupiscenza, massima nella lussuria, minima nell’avarizia; sdegno, per che cosa? per l’infermità speciale, che è l’inordinazione dell’irascibile all’arduo. E qui ci troviamo davvero avanti all’arduo, con la nostra interpretazione; poichè i lettori e i critici fissi nell’idea che “color cui vinse l’ira„ siano i rei d’ira, chiudono gli occhi e abbassano il capo e recalcitrano.
Io ho già detto che come avarizia è la denominazione della colpa sì degli avari e sì dei prodighi nel cerchio precedente, così nella palude accidia è sì di color cui vinse l’ira, sì dei tristi che hanno mozza la parola e portarono dentro accidioso fummo. Ora dirò come l’infermità dell’irascibile, per cui esso è destituito del suo ordine all’arduo, sia non solo accidia, come è chiaro, ma sia accidia anche dove pare ira e non è. In vero la virtù che è nell’irascibile come in subbietto, è la fortezza.1 Or la fortezza, come Dante stesso dice, “è arme e freno a moderare l’audacia e la timidità nostra nelle cose che sono corruzione della nostra vita„.2 Poichè “ciascuna di queste virtù ha due nemici collaterali, cioè vizii, uno in troppo, e un altro in poco„,3 i due nemici collaterali della fortezza sono appunto l’audacia e la timidità. La timidità Dante chiama, nel luogo della Comedia, tristizia o accidia: come chiama l’audacia? Chè il contrario di quella tristizia la quale è timidità, è l’audacia, e non altro. La chiama “orgoglio„.4
- ↑ Summa 1a 2ae 85, 2.
- ↑ Conv. IV 17.
- ↑ ib.
- ↑ Inf. VIII 46.