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208 | sotto il velame |
adiezione del peccato attuale, di cui esso è pur fomite. E questi due effetti Dante trovò in S. Agostino o lesse riportati nella Somma, in quell’articolo in cui erano le quattro piaghe di Beda1. Sono l’ignoranza e la difficoltà, da cui nasce l’errore e il tormento (cruciatus). Nel che si può vedere il perchè dei mosconi e delle vespe. Or nè l’una nè l’altra possono addursi a scusa dei peccati che ne derivano, poichè2 “Dio ci diede facoltà (opposto a difficultas) nei laboriosi uffizi, e la via della fede nella cecità dell’oblìo„.
Or Dante pose nel vestibolo quelli che non usarono la facoltà, non dico di bene operare, ma di operare, vinti dalla difficoltà conseguente al peccato originale, e nel limbo quelli che non seguirono la via della fede, acciecati dall’ignoranza pur conseguente al peccato originale.
V.
L’Acheronte è, dunque, la morte direttamente derivata dal peccato originale; e questa morte, quando si consideri il peccato in sè, senza mistura del peccato attuale, si riduce a “difficoltà„ e a “ignoranza„ totali e, diremo, originali. L’uomo vivo che entra dalla porta, e dal vestibolo, passando l’Acheronte, scende nel limbo, muore a questa morte; mortifica sì la “difficoltà„ e sì la “ignoranza„ originali. In vero Virgilio, sull’entrare dice:3
- ↑ Summa 1a 2ae 85, 3. E vedi, oltre le opere ivi richiamate di Aur. Aug., anche quella, che Dante è quasi certo che conoscesse direttamente: De libero arbitrio III 19.
- ↑ Aur. Aug. de lib. arb. III 57.
- ↑ Inf. III 14.