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le rovine e il gran veglio 189

o capirle a poco a poco. E per la seconda scende non agevolmente, chè alpestro era il luogo e simile a frana orribile; e le pietre spesso movevansi sotto i suoi piedi. Il montar per la terza è poi più difficile ancora: Dante ha bisogno dell’aiuto di Virgilio, e se non era che lo “scarco„ delle pietre faceva un rialzo nel fondo della bolgia, e che l’argine al quale saliva, era più basso, perchè Malebolge pende verso il bassissimo pozzo, sì che il tratto da salire era ivi più corto; egli sarebbe ben vinto.1 C’è dunque una gradazione di malagevolezza dalla seconda alla terza rovina. Or se Dante è disceso dal limbo al secondo cerchio per la via della prima rovina, si comprende chiaramente che questa via era meno difficile di quella tra il sesto cerchio e il settimo. In vero Dante non ci racconta la fatica o pericolo ch’egli provasse o corresse in quella scesa; e Minos a lui grida:2

               non t’inganni l’ampiezza dell’entrare.

Ora s’egli era entrato per la rovina, Minos accennerebbe che questa rovina, essendo ampia, dava facile e quasi insensibile la discesa. E accennerebbe anche che era grande, questa rovina, più delle altre. E poichè le tre rovine sono opera del tremuoto che avvenne alla morte del Redentore, si conclude che più grande rovina e più ampia avvenne in questo punto che negli altri due.

Ma, con le rovine, la morte del Redentore causò nell’inferno altro sconquasso: la rottura della

  1. Inf. XXIV 35 segg.
  2. Inf. V 20.