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160 | sotto il velame |
esse appetito l’eccellenza; si sarebbero in esse attristati per la superiorità degli altri e perciò avrebbero meditato o fatto ingiuria agli altri. Oppure l’ingiuria altrui avrebbero mal tollerata, correndo bramosamente alla vendetta. Insomma avrebbero pensato o commesso qualche atto d’ingiustizia. La loro cupidità si sarebbe “liquata„ in volontà iniqua. I cupidi sarebbero stati rei d’ira o invidia o superbia.
Riassumiamo. La concupiscenza può divenire facilmente tristizia: contro la lonza è farmaco “l’ora del tempo e la dolce stagione„. Chi sfrena la carne, corrompe lo spirito; cioè l’incontinenza può mutarsi facilmente in malizia. L’avarizia, con questo nome e più con quello di cupidità o cupidigia, è già quasi da sè, e facilmente si rende, ingiustizia: l’amor delle cose terrene porta sovente all’amor del male e all’ingiuria. Il concetto unico di questi diversi fatti è che chi si fissa nel bene che non è bene, si distoglie a mano a mano dal bene che è vero bene, e si torce al male. In ogni peccato è un volgere il viso verso un mutabile bene e un ritorcerlo dall’immutevole.1 In alcuni è primo il volgere, in altri è primo il torcere; ma, salvo che nel peccato veniale, l’un atto è seguito dall’altro. Ora del peccato, considerato in genere, è una radice e un inizio: la cupidità e la superbia. Se si considera il peccato sotto lo aspetto del volgere il viso, a capo del peccato è la cupidità; se si considera, sotto l’aspetto del torcere il viso, a capo si trova la superbia.2 Così avviene che con-
- ↑ Summa: passim per es. 1a 2ae 73, 5.
- ↑ Summa 1a 2ae 84, 2. Ed è concetto accolto da Dante che, come assomma le cause della perdizione nella cupidigia, così dice che principio del cadere fu la superbia. (Par. XIX 55).