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le tre fiere | 157 |
e cieca, a proposito degl’italiani non disposti ad accogliere l’alto Enrico;1 e mala,2 a proposito dei cristiani che non si lasciano guidare dal vecchio e nuovo testamento e dal pastor della chiesa. Da tutti questi luoghi si rileva che la cupidigia è bensì peggiore dell’avarizia che resta avarizia, e tuttavia che anch’essa è un principio di male, non il male stesso. In verità Beatrice ne parla ragionando delle prime tendenze dell’animo e dello sviarsi dell’umana famiglia.3 Dice d’essa che affonda sotto sè i mortali, ma dice ancora che chi se ne lascia condurre è “come agnel che lascia il latte„, e chi se ne lascia ammaliare è come il “fantolino„
che muor di fame e caccia via la balia.4
Si tratta dunque d’un lieve principio che ha grave fine. E tanto la levità del principio quanto la gravità del fine sono adombrate in questo terzetto:5
Benigna volontade, in cui si liqua
sempre l’amor che drittamente spira,
come cupidità fa nell’iniqua.
Chè l’amore, di cui qui si tocca, è non più che “sementa„; e sementa, e non altro, è dunque la cupidità.6 L’amore che drittamente spira è quello che è “ne’ primi ben diretto„ e che “ne’ secondi sè stesso misura„.7 La cupidità qual amore è? È quello che
- ↑ Par. XXX 139.
- ↑ Par. V 79. Cupido è usato anche in senso buono in Par. V 89.
- ↑ Par. XXVII 121 segg. Vedi più sopra.
- ↑ Par. V 79 segg. e Par. XXX 139 segg.
- ↑ Par. XVI segg.
- ↑ Purg. XVII 104 seg.
- ↑ ib. 97 seg.