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156 | sotto il velame |
ella è colpa, come più lieve, così più vituperosa. Gli avari e prodighi semplici rassomigliano in vero agl’ignavi del vestibolo e ai tristi del brago: sono bruni a ogni conoscenza: di loro non si fa nome. E così a me pare che, anche per questa ragione, il proprio nome della lupa sia frode e non avarizia; perchè anche la lonza è concupiscenza e non tristizia. Il senso precipuo e dominante delle due fiere è dato, mi pare, nell’una dal suo principio, nell’altra dal suo effetto; perchè nell’una e nell’altra la tristizia è innominabile e inconoscibile; e la tristizia della prima è effetto, e della seconda causa.
Ora questa causa della frode è detta sì, e l’abbiamo veduto, avarizia; ma ha, e l’abbiamo pur veduto, un altro nome: cupidità o cupidigia. Si può anzi dire che questo nome non si dà mai all’avarizia che resta avarizia cioè mal tenere e mal dare. Cupidità è sempre l’avarizia germinante in colpa maggiore. Cupido è papa Niccolò, che è tra i simoniaci;1 cupide sono le vele del nuovo Pilato, che non è certo reo di solo mal tenere;2 cupido è l’occhio della meretrice, la quale in senso proprio è almeno almeno come Taida che non rotola pesi ma è attuffata nello sterco.3 Cupidigia è quella di Alberto Tedesco e di suo padre;4 e anch’essa non è quell’avarizia, certo, che fa sozzi in vita e bruni in morte. E in fine la cupidigia è un pelago in cui s’affondano i mortali,5 e la cupidità è quella che “si liqua„ nell’iniqua volontà.6 Inoltre è detta cieca, nel cominciarsi a parlar de’ violenti,7
- ↑ Inf. XIX 71.
- ↑ Purg. XX 93.
- ↑ Purg. XXXII 154.
- ↑ Purg. VI 104.
- ↑ Par. XXVII 121.
- ↑ Par. XV 3. Vedremo, che è di Aur. Aug. de lib. arb. III 48.
- ↑ Inf. XII 49.