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Ora se Gerione e lonza simboleggiano tutti e due la frode, quella corda, se aveva a prender la frode, era una virtù ad essa contraria.

Non però “il buono accorgimento„ del Casella. Chè allora il cenno della corda direbbe a Gerione: C’è quassù un malaccorto; vieni a prenderlo. E ciò tornerebbe; ma nel dolce mondo, non nell’inferno. Nell’inferno Gerione salirà su, se crederà di trovare un fraudolento, non un semplice; uno pieno di accorgimenti e di segrete vie per offendere altrui, non uno sfornito pur d’ogni prudenza per difendere sè. Dunque non il buono accorgimento, ma quella virtù cui chi non abbia, è reo di frode. E qual è questa virtù? È, credo, la carità; quella di cui appunto Virgilio, nella bolgia quarta dei fraudolenti, dice:1

               Qui vive la pietà quand’è ben morta;

la pietà che non è esclusa in altri cerchi e verso altri peccati e peccatori. Bene: ora bisognerebbe provare che la corda ch’uno si cinga ai lombi, può valere la carità. E non credo si possa provare.2 Codeste cinture devono aver un significato di stringere e frenare. Ma pure ammettiamo che la Corda di Dante valga la carità o quella, qual si voglia, virtù,

  1. Inf. XX 28. Che la carità sia la virtù opposta al peccato di Malebolge, crederà ognuno che creda con me che esso sia l’invidia.
  2. In un mistico, Hugo de S. Victore (Op. Migne III 847), trovo, per esempio, tre cinctoria che nos stringunt et cohibent: il ricordarsi della morte, il decoro della pudicizia, l’amor religioso. Di quest’ultimo si cingono, a dir il vero, i cittadini angelici insistentes charitati. Ma il mistico dichiara (ib. 761, 762) che ne fu cinto Giovanni nell’Apocalissi e principalmente ne usò il Cristo e che è contro la superbia.